25.10 Pensiero Associativo

Aree interne: luoghi altamente esplorabili

Quando le periferie ri-centrano

A cura di Andrea Bresolin

 

Dolomiti friulane, Alta Carnia e Canal del Ferro-Val Canale sono le tre aree interne individuate dalla Giunta regionale con delibera n. 597/2015. Diga del Vajont, Val Cimoliana, Base scout di Cercivento, laghi di Fusine: ecco alcuni esempi di luoghi noti a tutti e che rientrano nelle aree interne della nostra regione. Ufficialmente la fascia montana regionale viene classificata come area interna in parte intermedia e in parte periferica,cioè area distante tra i 20 e i 75 minuti di auto da un polo urbano, centro di offerta di servizi quali un’offerta scolastica di livello superiore completa, un ospedale fornito di Pronto soccorso, servizi di osservazione, breve degenza e rianimazione e una stazione ferroviaria di tipo silver (impianto medio-piccolo).

Tuttavia la realtà appare più complessa se analizzata con ulteriori punti di vista. Nel settimanale diocesano udinese La Vita Cattolica del 15 settembre 2021, Massimo Castelli, coordinatore nazionale Piccoli Comuni, sprona i lettori a interessarsi alla questione delle piccole comunità poiché «ben 153 dei 215 Comuni della nostra regione stanno sotto la fatidica soglia dei 5 mila abitanti, 52 di questi sotto la quota mille» (a.XCVIII, n.36, p.4).

L’interesse delle istituzioni sulla questione è già da tempo focalizzato e le prime individuazioni a livello nazionale risalgono al 2013, ad opera dell’Agenzia per la Coesione Territoriale. La Strategia Nazionale per le Aree Interne ha poi selezionato 72 aree (13,4% del territorio nazionale, meno di 2 milioni di abitanti) in cui ingenti finanziamenti devono andare a incidere sullo sviluppo di cinque ambiti: tutela attiva del territorio e sostenibilità ambientale, valorizzazione del capitale umano, culturale e del turismo, valorizzazione dei sistemi agro-alimentari, attivazione di filiere delle energie rinnovabili, saper fare e artigianato.

La pandemia ha riportato il tema sotto i riflettori. C’è stato più di qualcuno che durante i vari lockdown è tornato al paese di origine per lavorare a distanza. È un fenomeno destinato a terminare a breve? Il PNRR vuole investire ulteriori finanziamenti e creare condizioni favorevoli nelle aree interne, anche se alcune loro problematicità sono già evidenti: spopolamento delle aree interne, scarse risorse interne dei comuni, organici ridotti all’osso e «mancanza di programmazione negoziata dal basso in grado di “cucire” gli interessi dei diversi comuni portandoli a progettualità condivise» (La Vita Cattolica n.36), secondo quanto detto da Giovanni Carrosio, sociologo dell’Università di Trieste.

La questione è molto complessa ma credo che una visione sul fronte dei valori coinvolti possa fornire una segnaletica per indirizzare l’impegno associativo a ricominciare anche dalle periferie. Il 30-31 agosto 2021, a Benevento si sono riuniti una trentina di vescovi italiani per riflettere sui problemi ecclesiali delle aree interne. Quali pastori si sono fatti voce delle comunità cristiane che, in tali zone, sono spesso l’ultimo punto di riferimento per gente che vive con fatica e disperazione la marginalità. A coronamento di un percorso di osservazione e denuncia dei “paesi presepe” dell’entroterra campano, i presuli hanno stilato un documento (“Sentinella, quanto resta della notte?” Aree interne tra pastorale e progetti di riscatto) che invoca un atteggiamento pastorale di ascolto e solidarietà.

Sono convinto che proprio lo slancio missionario cristiano sia il cuore da cui ricominciare o, per chi già ha sondato questo sentiero nei vari modi che l’associazione permette, continuare a testimoniare concretamente il valore della fratellanza universale. Non si tratta di sostituire le istituzioni, bensì di essere parte attiva nella riscoperta della ricchezza paradossale di cui la periferia è portatrice.

Anche se lontane dalle comodità, le aree interne sono il “polmone del Paese”, come ha detto Mons. Stefano Russo, segretario della CEI. La ricchezza risiede nella scomodità che obbliga a decentrarsi da ciò che pare ovvio e fare spazio a quel silenzio essenziale per ri-centrare la propria esistenza in un orizzonte di pienezza. In tale ottica noi possiamo riprendere a testimoniare che la guida e lo scout abitano il mondo come cittadini attivi, attenti alle frontiere e solidali con chi ha meno possibilità. Nell’intreccio tra la nostra inventiva e gli spazi creati dai progetti di rivalorizzazione che le varie comunità periferiche vogliono attuare, vedo uno spazio fecondo per tornare a verificare la nostra identità e la nostra presenza nel territorio.

L’inventiva può condurre a frequentare i paesini della pedemontana e della montagna, a usufruire di luoghi e attrazioni non solo come turisti, a stringere legami con gli abitanti sparpagliati nella regione. Non è escluso che una presenza più capillare e assidua possa divenire ulteriore sprone per chi sta gestendo le risorse di rinascita e ripresa, ora, in cui la pandemia rimarca la tremenda verità che l’uomo è fratello, ma solo nella solidarietà.

 

 

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Fotografia Aldo Gonnella