26.01 Confine, interpretare una parola

Editoriale

Confine, interpretare una parola

Ci sono linee di confine delle quali non possiamo fare a meno?

A cura di Sebastiano Fogolin

Ognuno di noi quando pensa ad una parola evoca un’idea – un’immagine mentale – per questo, di solito, il termine confine ha a che fare con le nozioni di geografia apprese a scuola, con una cartina, con un mappamondo. Può assumere via via significati più complessi, così confine può tradursi talvolta in confinamento, misriconoscimento, discriminazione. Spesso queste parole irrompono nella nostra quotidianità spingendoci ad adottare un immaginario collettivo, tale per cui la parola evoca in molti la medesima idea, lo stesso sistema di codifica della realtà. Ad esempio, dopo il 24 febbraio, tutti sappiamo che l’Ucraina «confina con la Russia a est e nord-est, con la Bielorussia a nord, con la Moldavia a sud e con quattro paesi dell’Unione Europea a ovest: Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania». In questo periodo è probabile che per molti la parola confine evochi l’immagine delle cartine utilizzate dagli esperti di geopolitica per spiegare quello che, all’inizio del conflitto, sembrava riguardare solo i territori del Donbass. Eppure, un confine rimane pur sempre una linea – apparentemente innocua – che dipende molto dall’interpretazione che gli individui e i popoli vi attribuiscono. «La tesi è che la nostra identità sia plasmata, in parte, dal riconoscimento o dal mancato riconoscimento» e che sembra quasi impossibile disunire il significato di identità da quello di confine, e di riconoscimento da quello di identità. E sarà forse perché «la nozione moderna di identità ha dato origine ad una politica della differenza» e dietro alla nozione di differenza si cela sempre una separazione, che difficilmente potremmo fare a meno di stabilire confini. C’è qualcosa di «insensatamente diabolico» – il diavolo, principio di divisione – in tutto questo. Ma se i confini non esistessero? Se potessimo stabilire solo dei limiti? Una retta tangente incontra una circonferenza in un solo punto lì dove retta e circonferenza diventano indistinguibili. L’identità allora sarebbe plasmata attraverso l’indistinguibile relazione tra persone, popoli e culture, «in virtù del diritto di comune possesso della superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non potrebbero disperdersi all’infinito, ma alla fine dovrebbero rassegnarsi a coesistere».

 

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Fotografia Sebastiano Fogolin