26.06 Nulla di nuovo sul “fronte FVG”?

Pensiero associativo

Nulla di nuovo sul “fronte FVG”?

Oltre la retorica della “terra di confine”

A cura di Andrea Bresolin

Friuli Venezia Giulia, terra di frontiera: frase fatta o complessa realtà?  Parlando di confini occorre, da friulani, guardarci attorno e riflettere. Il Friuli Venezia Giulia non è di confine solo per la sua posizione geografica. Anche sul piano linguistico riflette la diversità europea grazie alle quattro lingue ufficiali conviventi nelle varie comunità: italiano, sloveno, friulano e tedesco. Da Camporosso o da Valbruna possiamo salire al Monte Santo di Lussari, Svete Višarje, la Mont Sante di Lussari, Luschariberg: quattro modi per riferirci alle case arroccate attorno al santuario della Madonna Regina dei popoli. Proprio il legame con la Chiesa di Aquileia è stato nei secoli il collante che univa i villaggi friulani e d’oltralpe. Anche la recente annessione di Sappada al Friuli si è valsa dell’antico legame che aveva con la pieve di Santa Maria di Gorto (Cella di Ovaro). Dalla stessa Plodn, a partire da una pandemia di peste che nel 1804 colpì il bestiame, continua a partire un pellegrinaggio diretto al Santuario carinziano di Santa Maria Luggau (Lesachtal, Carinzia). L’usanza, diffusa anche in altri villaggi carnici, prevede lo scavalco degli antichi passi alpini per discendere nella Valle del Gail e giungere al luogo santo per chiedere aiuto e protezione.

Le vie di comunicazione sono state fin dall’antichità delle arterie dove circolava il sangue della diversità culturale. Tra Tirolo orientale, Carinzia e Friuli si snoda l’antica Via Allemagna Iulia, inserita come itinerario nel Progetto Interreg V A Italia Austria 2014-2020 “Look up – La riscoperta del patrimonio artistico e religioso transfrontaliero in montagna (www.walkinglookup.com), presentato a Udine lo scorso 24 gennaio 2022. Parte dei 365.000 euro di fondi europei stanziati per il progetto ha contribuito a rivalutare alcuni luoghi regionali, posti lungo l’antico cammino che congiungeva Aquileia alla Germania. L’ingegnere Marino Del Piccolo, responsabile del restauro dell’Hospitale di San Tomaso di Majano (UD), afferma che il Friuli, più che una regione di confine, «è luogo di incrocio e di incontro delle vie del cammino più antiche, di cui Aquileia era una delle mete più importanti» (La Vita cattolica, a.XCIX n.4, p.32). Nelle nostre uscite basterebbe imboccare strade e sentieri o pedalare tra i numerosi paesi friulani, per scoprire in luoghi tanto vicini (alcuni esempi: Zuglio Carnico, Grado, Collio) tracce diffuse della ricca e durevole diversità europea. Resti archeologici, architetture sacre e civili, strade, sono tutte testimonianze della commistione tra popoli che, in luoghi di passaggio e crocevia di culture come il Friuli Venezia Giulia, indicano mobilità e integrazione.

Tuttavia, a motivo dell’attuale momento storico, riteniamo doveroso non cadere nella trappola di una retorica edulcorata della “terra di confine”. Dentro a un flusso ininterrotto che si verifica dal Cinquecento in poi, i friulani espatriati nel triennio 2015-2017 sono 12.607 (www.regione.fvg.it). La realtà persistente dell’emigrazione è uno dei tratti di questa porzione nord orientale d’Italia. Infatti, sono stati moltissimi i friulani che hanno lasciato i loro piccoli borghi d’origine per cercare la fortuna in luoghi più promettenti, ben prima della mobilità conseguente alla globalizzazione. L’emigrazione friulana è stata tratteggiata senza alcuna retorica in Mestri di mont (2007), libro autobiografico scritto da Tito Maniacco (Udine, 1932-2010). L’opera è ispirata all’esperienza di maestro che l’autore svolse negli anni ’50 a Moggessa di qua e di là, in Val d’Aupa. Raccontando della prospettiva di vita dei piccoli abitanti a cui insegnava, scrive: «Dopo gli esami della classe quinta che facevano a Moggio per un paio di giorni, […] sarebbero stati messi in qualche collegio già contrattato dai genitori con il prete o la Direzione Didattica per concludere i tre anni della media e per essere poi condotti, a seconda del mestiere dei genitori, a fare i carpentieri o i muratori in Svizzera, i minatori in Francia o in Belgio, i metalmeccanici o altro in Germania. Per le ragazze c’era il servizio nelle città italiane del nord oppure i lavori in fabbriche svizzere o francesi o tedesche a seconda dei rapporti con le sorelle maggiori e le madri». La sofferenza della civiltà montana denunciata da Maniacco è riferita alla disintegrazione sociale e culturale che, al tempo, scaturiva dalla migrazione di forza lavoro dai monti all’estero. Oggi non sono più solo le comunità montane a impoverirsi ma tutte le realtà regionali sono soggette alla perdita di giovani. Di pari passo, vi sono altri uomini e donne che bussano al nostro confine per chiedere speranze di vita. Il Friuli Venezia Giulia è terra di frontiera perché vive ai suoi confini i mutamenti e le sfide del tempo attuale. Come Agesci possiamo scegliere di essere cittadini di frontiera, coscienti delle proprie radici, impegnati in prima linea per rispondere alla diversità del mondo che bussa e disposti a essere testimoni di cambiamento sulle vie dell’Europa, come costruttori di unità

 

 

foto di Dario Cancian