26.07 Accogliere o non accogliere?

Pensiero associativo

Accogliere o non accogliere?

Le paure dei capi di fronte alla disabilità

A cura di Ilaria Minisini

A tutti i nostri Gruppi, o quasi, è capitato di ricevere la richiesta di ingresso da parte di una famiglia di un ragazzo con disabilità o con difficoltà più o meno certificati. Già nel 1987 il 70% dei gruppi scout Agesci aveva almeno un ragazzo con disabilità inserito nelle loro unità e questa percentuale risulta costante ancora oggi. L’accoglienza di chi ha bisogni speciali caratterizza lo scautismo fin dal suo esordio, ma è qualcosa a cui non sempre ci sentiamo preparati. Quando allo staff arriva la richiesta molti dubbi e domande ci assalgono.

Per scioglierli ci sono molti strumenti a disposizione e il primo si chiama Comunità Capi. La scelta non può e non deve essere solo dello staff: tutta la Co.Ca. condivide la responsabilità educativa. Ricordiamoci che la nostra proposta è unitaria e solo insieme possiamo valutare con sguardo a lungo termine se il percorso scout è la risposta adeguata ai suoi bisogni. Infine, lo staff non deve sentirsi solo, ma supportato nell’affrontare eventuali difficoltà e sicuro del fatto che negli anni le scelte fatte insieme saranno portate avanti anche da chi subentrerà.

Il secondo strumento è la conoscenza della specifica situazione, che va a braccetto con la relazione con la famiglia. Per capire se questa esperienza è opportuna bisogna prendersi un po’ di tempo e dialogare con i genitori, per conoscere nei dettagli i punti di forza e di debolezza del ragazzo, quel che sa fare e quel che non riesce a fare da solo, la sua disabilità ma anche le sue abilità. Oltre alla specifica diagnosi, dobbiamo sapere qual è il suo funzionamento nella quotidianità, per poter individuare le attività alla sua portata e quelle in cui avrà bisogno invece di supporto. Con la famiglia poi è molto importante essere chiari e trasparenti fin dall’inizio. Dobbiamo spiegare bene come funziona il percorso scout, il tipo di attività che si fa, ma anche le sue finalità, che si tratta di una proposta educativa e non semplicemente ricreativa. Molte famiglie approdano a noi proprio perché alla ricerca di un contesto protetto che favorisca la socializzazione e gli stessi operatori dei Servizi consigliano l’ambiente scout in quanto non competitivo e più inclusivo.

Onde evitare aspettative fuorvianti, dobbiamo sottolineare che il nostro non sarà mai un intervento riabilitativo, non siamo educatori specializzati nel settore della disabilità, ma potremo sicuramente concorrere al raggiungimento di obiettivi di crescita su cui già famiglia, scuola e specialisti stanno lavorando. Questo pensiero dovrebbe alleggerire i capi dello staff. Non si richiede una competenza specifica che va oltre il nostro ruolo di educatori, ma di mettere in campo la nostra intenzionalità educativa, sapendo pescare dal metodo gli strumenti più adatti.

Siamo poi chiamati a interfacciarci maggiormente con tutti gli attori che concorrono al suo sviluppo, lavorando in rete e mantenendo i contatti con assistenti sociali, medici, psicologi, insegnanti di sostegno e altre figure di riferimento. Chi lo conosce bene può infatti suggerirci strategie già rodate ed efficaci e noi dobbiamo, dal canto nostro, documentarci in merito alle patologie e alle difficoltà specifiche che ci troveremo di fronte. Tutto questo richiede un investimento di tempo ed energie, per dire sì bisogna essere abbastanza certi che lo staff abbia le risorse per poterlo fare. Inoltre, è fondamentale la collaborazione dei genitori, che non dobbiamo dare per scontata, ricordandoci che le famiglie che vivono una situazione di disabilità sono potenzialmente più complesse di quelle dei ragazzi a sviluppo tipico.

Ci sono delle situazioni in cui mancano questi presupposti oppure le difficoltà del ragazzo sono tali da permettergli di partecipare solo a una quota irrisoria dell’attività o da richiedere una persona completamente dedicata di cui lo staff non dispone. In questi casi è necessario essere onesti e sinceri ed essere capaci anche di dire di no, perché la nostra unità non sarebbe la risposta alle sue esigenze. Ma al tempo stesso dobbiamo fare attenzione a come comunichiamo questa scelta: la famiglia non deve ricevere l’ennesimo rifiuto, ma essere accompagnata a trovare un’altra realtà più adatta a realizzare i propri obiettivi.

Ma accanto alle problematiche e alle fatiche ci sono molte opportunità che possono portarci a cogliere la sfida e a metterci in gioco. Per chi accogliamo è l’occasione di crescere sotto molti aspetti, uno su tutti l’autonomia, un ambito particolarmente importante e difficile da conquistare per una persona con disabilità, perché da lì dipenderà il suo inserimento sociale e la qualità della sua vita adulta. Per chi accoglie è una straordinaria opportunità di confrontarsi con la diversità, di imparare a vedere dal punto di vista altrui, a leggere i bisogni dell’altro, a sviluppare competenze relazionali che non emergono quando stiamo a contatto solo con persone molto simili a noi. Tenendo presente tutto questo non facciamoci spaventare, non prima di aver immaginato se e come quell’IM davanti a POSSIBILE si possa calciare via!

 

Suggerimenti utili per chi volesse approfondire il tema:

Leonello Giorgetti (2002) Paolo è in Branco, Ed. Nuova Fiordaliso

AGESCI (2019) Con il tuo passo. Percorsi di accoglienza in AGESCI, Atti di Convegno (https://metodo.agesci.it/wp-content/uploads/sites/6/2019/02/Con-il-tuo-passo-Atti.pdf)

 

Fotografia Patrizia Geremia