Confini che valorizzano l’incontro
A cura di Walter Mattiussi
Dobbiamo educare i giovani ad affrontare le sfide del mondo. Uomini e donne imparano a vivere insieme, a capirsi e questo deve avvenire il prima possibile per cancellare gli stereotipi e la disuguaglianza di genere.
Agli albori del Movimento scout, quasi contemporaneamente alla creazione delle prime squadriglie maschili, ne sono sorte alcune di femminili. Sul tema, il 21 marzo 1908, B.-P. così rispondeva ad una lettera: «Signorina May Jones, sono felice di sapere che abbia iniziato a fare attività scout. Penso che ci possano essere sia le esploratrici che gli esploratori, spero che formi una squadriglia, (…) può lavorare proprio sulle stesse linee dei ragazzi, quindi non deve spolverare e cucire molto di più di loro (…)». Il 19 settembre 1908, invece, scriveva nella rivista The Scout: «è stata costituita una squadriglia di ragazze (…) sotto la guida della signorina Mildred Tomlinson che vuole sapere se i ragazzi possono unirsi alla sua squadriglia. Penso che sia consigliabile che i maschi non siano nella stessa squadriglia delle ragazze, anche se possono stare nello stesso reparto». Viene da chiedersi: perché successivamente si è passati ad un progetto specifico per le guide? Forse a causa della pressione sociale dell’impero britannico?
Il cambio di rotta arrivò dalla penna di Agnes Baden-Powell che, adattando “Scautismo per ragazzi”, scrisse assieme al fratello Handbook of the Girl Guides, how girls can help to build up the empire (1912). Già il titolo indica la separazione dei sessi: appare scontato come le ragazze dovessero diventare “buone madri e casalinghe”. Solo dopo arrivò un secondo manuale per le guide e la storia è conosciuta.
Attualmente, l’evoluzione della società ha aperto nuove opzioni e la maggior parte delle associazioni scout a livello mondiale propongono attività congiunte per ragazze e ragazzi. In alcune nazioni la WOSM censisce anche le donne e, dal 2018, i Boy Scout of America hanno aperto anche a loro le porte. In Italia, già negli anni ’70 s’inizia a parlare di coeducazione, cioè della proposta pedagogica che permette a ragazze e ragazzi di effettuare liberamente le stesse attività, nell’equità e nel rispetto reciproco. Il modello permette la creazione di unità omogenee o miste (fortemente promosso dalla WOSM e dalla WAGGGS) e viene applicato nelle branche dal Cngei e dall’Agesci, dove – in quest’ultima – si è pure sviluppata la diarchia. È pure interessante il caso dell’Assoraider che contempla le pattuglie (squadriglie) eterogenee. Invece gli Scout d’Europa-FSE seguono il modello dell’intereducazione, ovvero di branche monosessuali che lavorano separate con l’obiettivo di «educare alla consapevolezza della differenza sessuale, a valorizzare le proprie capacità ed attitudini maschili o femminili».
La differenza tra coeducazione ed intereducazione è semplice: la prima educa “con l’altro”, la seconda “all’altro”. Questo si nota anche nella formulazione della Promessa e della Legge: mentre il Cngei declina tutto al maschile, gli Scout d’Europa hanno testi diversi per gli esploratori e le guide (vedi articolo 5 della Legge) e l’Agesci ha una formula al maschile per la Promessa e la dicitura “la guida e lo scout” all’inizio della Legge.
Siccome lo scautismo è rappresentativo dei giovani e del tessuto socio-culturale di un territorio, non può non considerare come in occidente maschi e femmine si educhino e lavorino fianco a fianco, cercando (a volte con difficoltà) una parità tra i sessi: la nostra diarchia va in questa direzione. È estremamente importante far capire ai giovani che l’altro non è un alieno ma una persona con cui poter creare un ambiente meno competitivo e più cooperativo. Sia la coeducazione che l’intereducazione tengono conto delle differenze e plasmano uno spazio in cui ogni sensibilità può esistere. Nelle unità omogenee i momenti di incontro con l’altro sesso sono preparati con tempo e ben pianificati; invece nelle unità miste si organizzano attività in cui i giovani sono separati per sesso. Se si attua un programma che non ha in alcun modo contatti con l’altro sesso, i ragazzi/e rimarranno segregati e percepiranno le differenze come un confine tra loro. Come capi dobbiamo cogliere e scommettere su queste differenze perché sono fonte di scoperta e di arricchimento in tutte le loro forme, comprese la disabilità, l’inter-generazione e l’interculturalità.
La società evolve e con lei anche i bisogni dei giovani. Le persone devono essere trattate allo stesso modo, senza che siano separate in “contenitori” quali il colore della pelle, la classe sociale, la nazionalità, la religione o il sesso. Il Metodo Scout riesce a stare a pari passo con il tempo, senza perdere le sue radici. Se per alcuni oggi “l’integrazione” rappresenta un punto di domanda, per noi deve essere una risposta che ci porti a crescere attraverso un dibattito aperto. Ecco perché forse è arrivato il momento di andare “oltre il confine” sul tema dei diritti per aprire spazi alla partecipazione attiva di tutti nello scautismo.
Fotografia Patrizia Geremia