26.15 M. è in clan

Esperienze

M. è in clan

Il percorso di un ragazzo musulmano in uno dei nostri clan

A cura di Pierfrancesco Nonis

 

Con la mozione 21/2017 il Consiglio generale di Agesci ha dato mandato al Comitato nazionale «di istituire un Osservatorio nazionale permanente sul tema dell’accoglienza dei ragazzi delle altre religioni», prendendosi carico della lettura di una realtà che appartiene sempre più ai nostri Gruppi. Tra i suoi compiti: «raccogliere e monitorare le esperienze che provengono dai Gruppi […], rilevare e analizzare il quadro dei bisogni formativi delle comunità capi coinvolte nell’esperienza».

Quella di M. è tra le varie storie raccolte nella nostra Regione dall’Osservatorio nazionale. Una storia come tante, una di quelle che osserviamo oramai spesso anche sui nostri territori. Quella che segue non è una guida, non sono istruzioni, è il semplice racconto di una delle tante esperienze che stiamo imparando a vivere.

«M. viene dal Marocco, si definisce e si sente musulmano – perlopiù culturalmente – non è particolarmente praticante. È arrivato in Gruppo che era già “grande”, durante il noviziato, coinvolto da un capo che prestava servizio nella casa-famiglia dove si trovava con la mamma e i fratelli. Lo scautismo l’ha vissuto pienamente fin dal suo arrivo, rimanendone da subito molto attratto. Nonostante mantenesse estremamente chiara la propria identità di musulmano, era anche dotato di una grande capacità di aprirsi facilmente al confronto, anche religioso, con gli altri suoi compagni di strada. Non si è mai sottratto, infatti, ai vari percorsi di catechesi, partecipando normalmente alla Messa come tutti gli altri rover e scolte del clan. Ha vissuto anche il servizio come chiunque altro, anche se per lui, proveniente da una situazione di difficoltà, poter essere egli stesso utile a qualcuno valeva molto di più, lo riempiva di gioia, lo inorgogliva».

Il confronto con la diversità ci aiuta a non dare per scontato nulla, nemmeno le cose che per noi sono le più semplici e ovvie. È fare strada insieme, arricchendosi gli uni gli altri delle proprie particolarità.

«Da noi si è sempre sentito accolto, molto di più che in altri contesti. Forse il motivo è che, diversamente da altri ambienti che cercavano di modificare in lui e nella sua famiglia alcuni comportamenti per rendere più facile l’integrazione – come chiedere di togliere il velo a sua madre – lo scautismo non ha mai cercato di cambiarlo. C’è stato un adattamento molto più naturale. Certo, il clan ha dovuto comunque adattarsi pian piano: in route bisognava fare attenzione al menù per la settimana perché M. non mangia né carne di maiale, né cibi che non siano halal – permessi cioè dalle norme della legge islamica – è stata questione di fare attenzione all’altro, di adattarsi a vicenda».

Come per ogni rover, anche per M. si avvicina il momento della Partenza. Capire la maturità della propria fede non è facile per nessuno, nemmeno per i capi: non è facile essere testimoni. In questo caso, però, c’è ovviamente una questione ulteriore data dalla diversità religiosa del ragazzo.

«Ovviamente, una volta avvicinatosi il momento della Partenza, occorreva pensarci bene, anche con l’aiuto dell’intera Comunità capi. L’Assistente ecclesiastico di Gruppo ebbe modo di dire che dovevamo accompagnarci a vicenda: noi, buoni cristiani, dovevamo aiutarlo a trovare la sua strada per essere un buon musulmano. Abbiamo avuto un confronto anche con gli Incaricati nazionali alla Branca, che ci hanno esposto alcuni percorsi, adottati in contesti simili al nostro, dei quali l’Agesci era a conoscenza e che stava monitorando in quel momento. Non ci sono indicazioni ufficiali su come comportarsi, non c’è un vademecum per situazioni di questo tipo, un libretto di istruzioni: noi conoscevamo il ragazzo, noi avremmo dovuto capire come accompagnarlo alla Partenza. Tentativi di percorsi per ragazzi di altre religioni si sperimentavano in tutta Italia, cercando di sopperire a bisogni che man mano iniziano ad emergere».

Non esiste un solo approccio corretto, granitico e fermo, ma molteplici possibilità su cui riflettere nell’interesse del giovane. Alla fine, la scelta che rimane sul tavolo, quella che tiene conto della particolarità della situazione, della sua fede, della vocazione educativa della nostra Associazione, non è la regola generale che ogni Gruppo dovrebbe seguire. È la sua strada, frutto delle sue scelte, tuttalpiù guidate da chi ha camminato con lui.

«Quello che per noi era importante, dopo aver ritenuto in Comunità capi che fosse giusto concedere ad M. di prendere la Partenza, era che potesse verificare la sua scelta di fede con qualcuno. Noi, naturalmente, non eravamo né potevamo essere competenti in tal senso, e quindi abbiamo cercato nei dintorni una persona, con cui si sarebbe potuto confrontare, e con cui noi saremmo rimasti in contatto per poter capire se la sua scelta di fede fosse matura. Si è recato da un imam per iniziare questo percorso. Non è stato facile, non ha frequentato assiduamente la moschea, un ambiente per lui nuovo non essendo praticante. Ciononostante, anche se con qualche difficoltà, M. ha infine scelto di prendere la Partenza».

 

 

 

Fotografia Patrizia Geremia