Ogni scelta che facciamo determina il mondo di domani
Intervista a Linea D’ombra, a cura di Sebastiano Fogolin
Abbiamo chiesto a Linea d’ombra, un’Associazione che da anni ormai si occupa di prima accoglienza il loro punto di vista sul binomio confine-accoglienza. Ne emergono parole a tratti dure. Le abbiamo volutamente lasciare lì perché costituiscano un punto di partenza per chiunque si voglia confrontare con questi temi.
Ciao Francesco e grazie per il tuo contributo. Partiamo dall’inizio. Di che cosa si occupa specificatamente Linea d’ombra?
Linea d’Ombra si occupa di “prima accoglienza” alle persone che, percorrendo la rotta balcanica, arrivano a Trieste, e di portare supporto ai migranti bloccati in Bosnia, oltre il confine Europeo. Nel concreto forniamo assistenza medica e legale, cibo, vestiti e scarpe pulite, kit igienici e informazioni utili a tutte le persone che attraversano Piazza Libertà. Quello che facciamo compensa un vuoto delle Istituzioni che di fatto non vogliono vedere queste persone che arrivano in Italia dopo 300 chilometri di marcia forzata attraverso i boschi di Bosnia, Croazia e Slovenia, che spesso da una settimana o più si nutrono solo di foglie e radici e bevono fango dalle pozzanghere filtrandolo attraverso i calzini. Per chi non intende fermarsi e chiedere asilo non esiste la minima assistenza, noi di Linea d’Ombra non siamo altro che un pugno di privati cittadini che agiscono in maniera volontaria.
Come percepite il vostro rapporto con Trieste ed i vostri concittadini?
C’è una Trieste bella, solidale, quella delle autonomie e della sinistra sociale, quella della società civile, che ci supporta e difende anche in caso di attacchi mediatici, politici o giudiziari (li abbiamo passati tutti), c’è poi una Trieste brutta, piena d’odio e rancore, pronta a sputare su chiunque parli di uguaglianza, libertà e autodeterminazione. Ci sentiamo di dire che, in generale, potrebbe esserci più supporto da parte della cittadinanza verso chi è meno fortunato.
Confine ed accoglienza spesso rischiano di risultare dei termini contrapposti. Quali sono le prospettive con le quali dovremo confrontarci nel prossimo futuro?
Da quando si è scelto di esternalizzare le frontiere e chiudere i confini l’Unione Europea ha speso miliardi di euro per tenere fuori persone colpevoli solo di cercare una vita dignitosa, lontana dalla distruzione che caratterizza le regioni da cui i flussi migratori originano. L’unica soluzione è strutturare un sistema d’accoglienza funzionante, rispettoso della dignità umana. Vedere le persone in arrivo come fratelli e sorelle anziché come nemici o risorse da sfruttare economicamente nei campi, nell’edilizia, nella prostituzione. Se non ci sarà un cambio radicale nel paradigma europeo rispetto alle migrazioni saremo costretti ad un mondo sempre più ingiusto.
In questi anni di servizio, c’è una storia che più di altre vi ha colpito e che vi piacerebbe testimoniare?
Le storie sono infinite, e non si potrebbero raccontare tutte anche volendo, anche se avrebbero tutte la stessa dignità. C’è una madre che ha perso la figlia guadando un fiume a pochi chilometri da Trieste, un ragazzo che ha visto il proprio migliore amico precipitare e morire in un dirupo, un signore di oltre sessant’anni, cieco, che ha fatto tutto il “game”, 300km a piedi, tenendo una mano sullo zaino del compagno. C’è chi è saltato sulle mine, chi è stato sgozzato dai talebani perché ha rifiutato di imbracciare le armi, chi è perseguitato per la sua fede religiosa. Umar è un ragazzo pakistano di venticinquenne che ci ha messo sette anni ad arrivare a Trieste, che è stato torturato dalla polizia croata con delle sbarre di ferro arroventato. Gli hanno causato delle ustioni di terzo grado sulla gamba che ancora oggi, dopo due anni, gli danno problemi. Ha rischiato l’amputazione, ciò nonostante è arrivato a Trieste sulle sue gambe, e ora è tutti i giorni in Piazza Libertà ad aiutarci: ha trovato una nuova famiglia.
Dal canto vostro avete la percezione di vivere ciò che fate come un’azione politica?
Lavoriamo al di là e al di qua del confine e rivendichiamo la dimensione politica e non solo umanitaria del nostro agire. Vogliamo creare spazi di incontro tra persone libere e uguali, non ha caso stiamo in piazza. Noi gli diamo qualcosa che tutto sommato è piccolo, che serve giusto a sopravvivere. Loro invece ogni giorno utilizzano il proprio corpo per pretendere i propri diritti. Le loro esperienze ci ricordano che i diritti umani sono tali non perché scritti su un pezzo di carta, ma se abbiamo diritto a spostarci e cercare una vita degna è perché siamo vivi, perché abbiamo un corpo che respira e soffre. La stessa democrazia sta nel rapporto tra corpi e Stato. Mantenere questa consapevolezza è importante, ed è incontrando, parlando e osservando i migranti in Piazza Libertà che la teniamo bene a mente. La vita è sempre Politica, con la P maiuscola: ogni scelta che facciamo determina il mondo di domani, non si può non scegliere. Mangi carne oppure no? Si tratta di una scelta politica. Dedichi il tuo tempo agli altri? Scelta politica. Se il mondo va un po’ a rotoli è perché abbiamo scordato che tutti e tutte facciamo politica semplicemente vivendo.
Fotografia Sebastiano Fogolin